Negli ultimi anni, almeno dall’inizio degli anni 2000, le applicazioni e le funzioni dei computer si sono totalmente evolute verso la rete che, da forma di organizzazione tecnica, è diventata principio organizzatore di nuovi rapporti nella cultura e nella società: qualcuno chiama tutto ciò web 2.0.
Al centro di questa evoluzione c’è “un approccio ‘filosofico’ alla rete che ne connota la dimensione sociale, della condivisione, dell'autorialità rispetto alla mera fruizione: sebbene dal punto di vista tecnologico gli strumenti della rete possano apparire invariati (come forum, chat e blog, che ‘preesistevano’ già nel web 1.0) è proprio la modalità di utilizzo della rete ad aprire nuovi scenari fondati sulla compresenza nell'utente della possibilità di fruire e di creare/modificare i contenuti multimediali.” [cit]
Le implicazioni sulla cultura in generale e sulla formazione in particolare sono enormi, non solo perché la pervasività del mezzo è veramente impressionante ma anche perché le potenzialità informative e comunicative che i ragazzi hanno oggi a disposizione rivoluzionano totalmente la loro rappresentazione del mondo, i loro schemi cognitivi, le modalità di costruzione e accesso al sapere.
Simili problemi non possono essere marginalizzati da tutti coloro che si occupano delle nuove generazioni, a maggior ragione se di loro si è, pur a diversi livelli, responsabili della loro formazione.
Le stesse istituzioni, in particolare la Commissione Europea, fin dal 2006 con la “Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio” fino alla più recente “Agenda digitale europea” [15/05/2010]* segnalano e favoriscono tutte le iniziative che approfondiscono e diffondono la “digital literacy” nella consapevolezza che senza tali competenze non sarà possibile pensare e costruire la società del futuro.
In un simile contesto la scuola si gioca il proprio futuro, non solo per gli anacronistici sistemi vigenti, ma anche per quel che le rimane di credibilità e autorevolezza: una scuola che non sa parlare ai giovani e un’istituzione afasica e inutile; incapace di imporre un proprio modello, verrà sommersa dall’agenda di altri soggetti più o meno competenti.
La sfida non è semplice, anche perché il piano del confronto deve essere quanto prima rovesciato: non è possibile pensare alla prima istituzione culturale di un paese tenuta in scacco da un fattore che dovrebbe governare.
Fino a quando la scuola, a tutti i suoi livelli, non sarà in grado gestire i nuovi fenomeni tecnologici che condizionano l’informazione e la comunicazione abdicherà a ciò che, per il futuro, sarà il suo obiettivo primario: la pianificazione e la gestione del progresso.
Anche la scuola quindi deve assumere un nuovo atteggiamento volto ad interpretare l'alfabetizzazione tecnologica come “la capacità matura di partecipare in modo creativo, critico e responsabile alle scelte tecnologiche che sono al servizio della democrazia, della sostenibilità ambientale e di una società giusta” [cit.]
Al centro di questa evoluzione c’è “un approccio ‘filosofico’ alla rete che ne connota la dimensione sociale, della condivisione, dell'autorialità rispetto alla mera fruizione: sebbene dal punto di vista tecnologico gli strumenti della rete possano apparire invariati (come forum, chat e blog, che ‘preesistevano’ già nel web 1.0) è proprio la modalità di utilizzo della rete ad aprire nuovi scenari fondati sulla compresenza nell'utente della possibilità di fruire e di creare/modificare i contenuti multimediali.” [cit]
Le implicazioni sulla cultura in generale e sulla formazione in particolare sono enormi, non solo perché la pervasività del mezzo è veramente impressionante ma anche perché le potenzialità informative e comunicative che i ragazzi hanno oggi a disposizione rivoluzionano totalmente la loro rappresentazione del mondo, i loro schemi cognitivi, le modalità di costruzione e accesso al sapere.
Simili problemi non possono essere marginalizzati da tutti coloro che si occupano delle nuove generazioni, a maggior ragione se di loro si è, pur a diversi livelli, responsabili della loro formazione.
Le stesse istituzioni, in particolare la Commissione Europea, fin dal 2006 con la “Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio” fino alla più recente “Agenda digitale europea” [15/05/2010]* segnalano e favoriscono tutte le iniziative che approfondiscono e diffondono la “digital literacy” nella consapevolezza che senza tali competenze non sarà possibile pensare e costruire la società del futuro.
In un simile contesto la scuola si gioca il proprio futuro, non solo per gli anacronistici sistemi vigenti, ma anche per quel che le rimane di credibilità e autorevolezza: una scuola che non sa parlare ai giovani e un’istituzione afasica e inutile; incapace di imporre un proprio modello, verrà sommersa dall’agenda di altri soggetti più o meno competenti.
La sfida non è semplice, anche perché il piano del confronto deve essere quanto prima rovesciato: non è possibile pensare alla prima istituzione culturale di un paese tenuta in scacco da un fattore che dovrebbe governare.
Fino a quando la scuola, a tutti i suoi livelli, non sarà in grado gestire i nuovi fenomeni tecnologici che condizionano l’informazione e la comunicazione abdicherà a ciò che, per il futuro, sarà il suo obiettivo primario: la pianificazione e la gestione del progresso.
Anche la scuola quindi deve assumere un nuovo atteggiamento volto ad interpretare l'alfabetizzazione tecnologica come “la capacità matura di partecipare in modo creativo, critico e responsabile alle scelte tecnologiche che sono al servizio della democrazia, della sostenibilità ambientale e di una società giusta” [cit.]
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