Nativi, "vale a dire pienamente capaci di trarre tutte le implicature dell'attività comunicativa, rendendone esplicite tutte le risorse. (...) La competenza comunicativa è un'abilità così complessa che si può ben pretenderla come prova di natività (...) non riguarda infatti la pura competenza linguistica (...) bensì la capacità di comunicare attraverso il linguaggio".
U. Volli, Lezioni di filosofia della comunicazione, Laterza, 2008
Questa distinzione fra competenza linguistica e comunicativa sembra rendere ragione dell'apparente contraddizione che si evidenzia ogni qual volta si cerchino di valutare le specifiche abilità dei nativi digitali.
E' frequente il caso di ragazzi che, rispondendo a test sulle conoscenze informatiche, dichiarano notevoli capacità solo perché sanno giocare con rapidità o chattare con molti amici.
Tutto ciò sembra, al minimo, un'ingenuità, frutto di superficialità e incompetenza.
Si tratta invece di un'approccio totalmente diverso alla macchina; per i nativi essa è trasparente: non importa come fa ma che cosa fa; prima di tutto provo ad entrare in contatto poi ne imparerò il linguaggio. E' simile all'atteggiamento dello studioso di una lingua straniera che invece di avvalersi di dizionari per la traduzione si cala dirattemente nel constesto socio-culturale in cui quella lingua è in uso.
La capacità di gestire e operare con un software attiene più alla conoscenza di un codice operativo che prevede univoche risposte della macchina a seguito di precise indicazioni dell'operatore.
Lo sforzo di impadronirsi di un linguaggio per relazionarsi con la macchina è tipicamente da immigrato; lo schema della relazione per quanto avanzato è ancora quello della traduzione da un linguaggio ad un altro.
Nella prospettiva del nativo non c'è la macchina ma il contesto comunicativo che essa crea, i linguaggi non sono un problema perché ogni contatto è prima di tutto un'epifania effimera di codici che, grazie alla comunità, crescono e si rafforzano seguendone il suoi destini.
E' frequente il caso di ragazzi che, rispondendo a test sulle conoscenze informatiche, dichiarano notevoli capacità solo perché sanno giocare con rapidità o chattare con molti amici.
Tutto ciò sembra, al minimo, un'ingenuità, frutto di superficialità e incompetenza.
Si tratta invece di un'approccio totalmente diverso alla macchina; per i nativi essa è trasparente: non importa come fa ma che cosa fa; prima di tutto provo ad entrare in contatto poi ne imparerò il linguaggio. E' simile all'atteggiamento dello studioso di una lingua straniera che invece di avvalersi di dizionari per la traduzione si cala dirattemente nel constesto socio-culturale in cui quella lingua è in uso.
La capacità di gestire e operare con un software attiene più alla conoscenza di un codice operativo che prevede univoche risposte della macchina a seguito di precise indicazioni dell'operatore.
Lo sforzo di impadronirsi di un linguaggio per relazionarsi con la macchina è tipicamente da immigrato; lo schema della relazione per quanto avanzato è ancora quello della traduzione da un linguaggio ad un altro.
Nella prospettiva del nativo non c'è la macchina ma il contesto comunicativo che essa crea, i linguaggi non sono un problema perché ogni contatto è prima di tutto un'epifania effimera di codici che, grazie alla comunità, crescono e si rafforzano seguendone il suoi destini.
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