Di recente si è riaperto il dibattito sul rapporto fra i media e le competenze linguistiche dei giovani, la generazione più esposta alle nuove modalità comunicative.
L'allarme è partito dall'Inghilterra dove un'inchiesta universitaria ha rilevato quanto sia esiguo il numero dei vocaboli utilizzati nelle normali conversazioni dei ragazzi condizionati sempre di più dai cellulari e dai computer. In breve sembra che l'uso quotidiano e prevalente dei nuovi media abbia serie ripercussioni sulle abilità linguistiche dei giovani, in particolare sulle modalità espressive e soprattutto sulla ricchezza lessicale.
A parte il fatto che non mi pare di osservare enormi differenze fra le diverse generazioni con cui normalmente entro in contatto, credo che ogni seria riflessione, non solo in questo campo, debba abbandonare ogni nostalgica concessione che, si sa, tende a dipingere il passato molto meglio di ciò che era.
Ricordo ancora gli sforzi che facevo nel tentativo di conquistare alla lettura e al piacere del testo scritto la generazione posseduta esclusivamente dal mezzo televisivo. Non è proprio preistoria; all'inizio degli anni '90 il contesto televisivo era in parte quello di oggi e saturava in modo quasi esclusivo le esigenze d’informazione e intrattenimento della maggioranza dei ragazzi di allora.
Di computer e cellulari se ne parlava solo, in pochissimi ne possedevano qualche esemplare, pezzi ancora molto costosi.
Le critiche maggiori che si facevano al mezzo, soprattutto quello televisivo, riguardavano l’unidirezionalità della comunicazione, la mancanza di interazione qualitativa dello spettatore, la povertà dei contenuti.
Allora come adesso chi osservava il linguaggio delle nuove generazioni spesso segnalava dirette corrispondenze fra la povertà linguistica e le evidenti responsabilità del mezzo che, oltre a sottrarre tempo prezioso, corrodeva lentamente le capacità critiche e di giudizio intimamente correlate alle abilità linguistiche stesse.
Non credo che l'analisi fosse errata: si trattava di comunicazioni di massa, che avevano già allora preso la china che conosciamo, cioè si erano avviati all'elaborazione di sistemi specializzati alla ricerca e alla costruzione del consenso.
Meno corretto invece mi pare il semplice trasferimento delle critiche da un media ad un altro, da una generazione ad un'altra.
Spesso mi è capitato infatti di avere la sensazione di rileggere critiche già scritte o magari di leggere indagini che mettono insieme abitudini e stili di vita legati alla tv con quelle relative ai nuovi media che, almeno a mio avviso, andrebbero nettamente separate.
Solo i più distratti non si sono resi conto che attraverso l'evoluzione di internet qualcosa sta cambiano nelle abitudini comunicative dei ragazzi e, tutto sommato, si tratta di trasformazioni che riportano al centro la comunicazione, pubblica e privata, che utilizza come oggetto privilegiato il testo scritto.
E' vero che le modalità espressive sono caratterizzate da neologismi e abbreviazioni che tendono a forzare i concetti di leggibilità, coerenza e coesione degli interventi, ma si tratta pur sempre di contesti dove la brevità è spesso privilegiata e la completezza dell'informazione passa anche attraverso canali aggiuntivi (video, immagini, ecc.).
E che dire dei blog e dei siti personali che sembrano una contemporanea riedizione degli antichi diari. Questi ospitano spesso le esperienze personali e professionali dei ragazzi e permettono, così come sembra aver rilevato un'indagine condotta dalla facoltà di scienze della comunicazione alla Sapienza di Roma, una riflessione attenta e meditata che si riflette anche sulla qualità del testo e delle generali competenze linguistiche.
In ogni caso si tratta di un recupero del testo, di un recupero mediato dalle caratteristiche tecniche, mediato da un contesto spesso informale ma il fenomeno segna una netta discontinuità con il passato, anche per la semplice constatazione che di questo fenomeno i protagonisti sono proprio i giovani.
E se proprio i giovani scoprono, senza stimoli esterni, l'importanza delle parole per descrivere, raccontare, riferire ecc. probabilmente avremo una speranza in più, un terreno comune, sempre difficile da individuare con le nuove generazioni, su cui lavorare.
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