giovedì 19 novembre 2015

Ancora sulla didattica digitale!

Il dibattito sulla didattica digitale ultimamente sembra si sia fatto più complesso, addirittura fuorviante.
Dopo il rapporto OCSE che, almeno apparentemente, bocciava la scuola digitale, le posizioni di dirigenti scolastici ma anche di autorevoli decisori politici si sono fatte più sfumate e prudenti.
Mi piacerebbe quindi ribadire almeno due punti che mi sembravano chiari già nel lontano 2009 quando un certo numero di docenti furono impegnati nella prima sperimentazione denominata cl@ssi 2.0. e, come da buona tradizione, ignorati circa gli esiti e le criticità che pure segnalarono
1. La  condizione necessaria
Dovrebbe ormai essere chiaro a tutti che la grande terza rivoluzione digitale in corso ha investito in pieno i processi relativi all’informazione e con essi i complessi meccanismi della produzione culturale e della sua trasmissione.
Accettate queste premesse può un lavoratore della conoscenza, un formatore di qualsiasi livello coscientemente dichiararsi fuori?
Negare il valore potenziale del digitale è perlomeno anacronistico e si corre il rischio di fare la figura di quell’avvocato di H. Ford che ebbe a dire “Il cavallo resterà, l’auto è passeggera”.
Andare a cavallo è ancora un passatempo piacevole ma la società contemporanea, nei suoi pregi quanto nei difetti, sarebbe inconcepibile senza il suo, per ora, mezzo di trasporto più diffuso.
É per questo (e per tante altre buone ragioni) che ritengo inutile, fuorviante e ozioso qualsiasi dibattito ove ancora si discuta sull’opportunità del digitale nella didattica.
Anzi è proprio nella scuola più di ogni altra istituzione politica e sociale che si dovrebbe programmare il futuro affinché ogni innovazione tecnologica possa essere sempre al servizio della democrazia, della sostenibilità ambientale e di una società capace di riconoscere pari opportunità a tutti.

2. La condizione sufficiente
È importante tuttavia risolvere un equivoco di fondo: digitale e innovazione, anche al netto delle differenze grammaticali, non sono sinonimi anche se talvolta possono condividere il medesimo campo semantico.
Conosco personalmente esperienze didattiche che, pur avvalendosi delle più moderne tecnologie che oggi offre il mercato, sono semplici traduzioni di ordine tecnico di processi noti.
La maggior parte delle esperienze che quotidianamente si trovano in rete sono rubricabili sotto questa categoria e, pur essendo notevoli esempi di didattica digitale, non vanno aldilà di apprezzabili sforzi di adeguamento e compensazione.
Innovare, è bene ribadirlo, non significa tecnologizzare ma produrre un miglioramento significativo e generalizzato dei prodotti e dei processi sottoposti a verifica.
Nella scuola poi tutto ciò significherebbe sperimentare nuovi paradigmi in grado di esercitare le conoscenze, le competenze e le abilità che faranno dei nostri ragazzi consapevoli cittadini del XXI secolo.
Occorrerebbe per questo un contesto più complesso, un modo radicale di concepire la scuola e la formazione contemporanea in grado di mettere in discussione la stessa architettura del sapere e le infrastrutture sul quale ancora saldamente poggia.
Per dirla con Papert “gli educatori progressisti non si considerano semplicemente insegnanti che offrono agli studenti un modo alternativo di imparare le stesse nozioni, ma privilegiano un diverso tipo di sapere”. (S. Papert, 1980)

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